Il ruolo di SCFA intestinali nella
sclerosi multipla
ROBERTO
COLONNA & LORENZO L. BORGIA
NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 20 aprile
2024.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
La
sclerosi multipla è una
malattia cronica infiammatoria demielinizzante e neurodegenerativa del sistema
nervoso centrale, in cui il processo patologico principale è costituito dalla
distruzione immuno-mediata della guaina mielinica e
degli oligodendrociti. In passato, il rilievo patogenetico di tale componente
ha indotto alcuni a considerarla una malattia autoimmune provocata
dall’esposizione ad agenti ambientali, trascurando i fattori genetici
dell’eziologia[1]. Oltre vent’anni di studi condotti
su famiglie e gemelli hanno poi dimostrato in modo convincente l’esistenza e
l’importanza, verosimilmente per una parte considerevole di casi, di una
componente genetica[2]. Grazie a studi di associazione,
sono stati poi identificati e caratterizzati alcuni fattori di rischio
primariamente legati al sistema immunitario[3]. Zhe Wang, A. Dessa Sadovnick
e colleghi, nel 2016 hanno individuato la prima mutazione genica (nel recettore
nucleare NR1H3) causante una forma familiare di sclerosi multipla[4]. Nelle forme non familiari, che costituiscono
la stragrande maggioranza dei casi, l’interazione tra fattori genetici e
ambientali influenza la fisiopatologia, innescando le risposte immuni e infiammatorie.
Da
molto tempo la ricerca indaga il contributo del microbiota intestinale e dei
suoi metaboliti nella modulazione delle reazioni infiammatorie intracerebrali,
ma di recente è stata rivolta l’attenzione agli acidi grassi a corta catena
provenienti dal microbiota intestinale (SCFA, da short-chain fatty acids). Mohammed J. Saadh
e colleghi hanno trovato evidenze sperimentali di un ruolo di queste molecole
nella sclerosi multipla.
(Saadh M. J. et al., The Role of Gut-derived Short-Chain
Fatty Acids in Multiple Sclerosis. NeuroMolecular Medicine – Epub ahead of print doi: 10.1007/s12017-024-08783-4, April 17, 2024).
La provenienza degli autori
è la seguente: Faculty of Pharmacy, Middle East
University, Amman (Giordania); Department of Dental
Industry Techniques, Al-Noor University College, Nineveh (Iraq); College of
Health and Medical Technical, Al-Bayan University, Baghdad (Iraq); Department
of Chemistry, College of Science, King Saud University, Riyadh (Arabia Saudita); Center for Applied Mathematics and
Bioinformatics, Gulf University for Science and Technology, Mubarak Al-Abdullah
(Kwait); Department of Computer Science and Mathematics, Lebanese American
University, Beirut (Libano).
Si propone qui di seguito un’introduzione alla sclerosi multipla tratta
dal già citato articolo scritto dal nostro presidente in collaborazione con
Diane Richmond:
“Clinicamente
la sclerosi multipla è distinta in 5 forme principali: la remittente-recidivante,
che è la più frequente, la forma secondariamente progressiva, quella più rara
che assume subito andamento progressivo, la forma acuta[5] e, infine, la sclerosi cerebrale
diffusa[6]. Il sintomo iniziale in circa la
metà dei pazienti è costituito da debolezza o torpore in un arto o due:
all’esame neurologico spesso il paziente riferisce sintomi ad un solo arto ma
si rilevano deficit, quali un Babinski positivo, anche nell’arto
controlaterale. Sono avvertite parestesie e sensazioni di avere il tronco o un
arto stretto da una fascia, verosimilmente per interessamento delle colonne
posteriori del midollo spinale. L’esame dei riflessi tendinei inizialmente
evidenzia ritardo di risposta che tende a mutare in iperattività. In generale,
le manifestazioni sintomatologiche variano secondo un’ampia gamma di intensità,
potendo essere sfumate o configurare vere e proprie paraparesi spastiche o
atassiche. In vari casi l’emergenza clinica assume il profilo di una delle
seguenti sindromi: 1) neurite ottica; 2) mielite trasversa; 3) atassia
cerebellare; 4) sindromi del tronco encefalico (vertigine, disartria, diplopia,
dolore o torpore faciale).
I
dati su soggetti, etnie ed aree geografiche più colpite hanno costituito
inizialmente un’indicazione orientativa per la ricerca sulle cause. La
prevalenza maggiore è fra i Caucasici in aree con temperature medie annuali basse,
ma la malattia, sia pure con una minima incidenza, è diagnosticata anche nei
paesi tropicali. Fra i due sessi è maggiormente colpita la donna con un
rapporto di 2:1 o 3:1[7]; le ragioni di questa differenza
sono ancora sconosciute, ma il dato accomuna la sclerosi multipla a molte malattie
autoimmuni[8].
Oggi,
con stime epidemiologiche che superano i 2 milioni di persone affette in tutto
il mondo e una prevalenza di 1:1000[9], non meraviglia che sia
considerata la malattia neurologica più comune fra i giovani adulti[10]. In proposito, non possiamo dimenticare
l’osservazione di Gilbert e Sadler che, dopo aver descritto cinque casi di
studio autoptico nei quali sono state inaspettatamente scoperte le tipiche
lesioni della sclerosi multipla in persone ritenute asintomatiche per tutta la
vita, concludono che la reale incidenza potrebbe essere anche di tre volte
maggiore di quella attualmente riconosciuta[11].
Eppure,
fino agli anni Ottanta, ossia fino a quando sono stati introdotti criteri
diagnostici e metodi basati sulla risonanza magnetica nucleare, in molti
istituti neurologici la sclerosi multipla è stata considerata alla stregua di
una malattia rara. È ragionevole supporre che una causa del basso numero di casi
rilevati in quel periodo sia da ascriversi a falsi negativi e a numerosi casi
mai giunti all’osservazione specialistica; tuttavia, non sono stati pochi i
neurologi che hanno sospettato, probabilmente in relazione ad ipotesi
eziologiche con un ruolo preponderante attribuito a fattori ambientali, che la
malattia fosse rara in passato e si fosse verificato un effettivo e notevole
incremento di persone colpite in epoca recente.
Ma,
attingendo per informazioni a documenti di valore ormai storico, abbiamo
conferma di una frequenza tutt’altro che bassa già nel passato, se con i
limitatissimi mezzi diagnostici dell’Ottocento i neurologi edotti della sua
esistenza hanno potuto lasciarci traccia di una discreta casistica[12].
All’inizio
del diciannovesimo secolo la malattia, poi denominata dai neurologi britannici disseminated sclerosis e
da quelli francesi sclérose en plaques,
era già conosciuta, come si desume dalle accurate descrizioni pubblicate nel
tempo da Carswell, da Cruveilhier
e poi da Frerichs. È interessante notare che, solo
dopo quel periodo, si ebbe l’interessamento da parte di Jean-Martin Charcot, in
molte trattazioni indicato quale primo studioso di questa malattia. La ragione
di tale attribuzione è tuttavia facile da comprendere, se si considera che il
celebre chef de clinique
della Salpêtrière che attrasse a Parigi il giovane
Freud per i suoi studi sull’isteria, analizzò accuratamente ben 34 casi,
definendo nel 1868 aspetti anatomopatologici e clinici mai rilevati in
precedenza, e successivamente richiamò l’attenzione della comunità medica
internazionale istituendo una fondazione per lo studio della malattia[13]. Un’altra ragione dell’oblio
toccato agli studi dei neurologi che avevano preceduto Charcot è nella formulazione
di ipotesi eziologiche erronee, talvolta elaborate secondo concezioni che ci
appaiono anacronistiche. Ad esempio, Cruveilhier, nel
suo saggio pubblicato intorno al 1835, ipotizzava all’origine della sclerosi
multipla una soppressione della sudorazione.
Da
quell’epoca lontana, si sono compiuti enormi progressi nella conoscenza dei
processi patogenetici che portano dalle lesioni focali demielinizzanti alla
sezione degli assoni e alla perdita dei neuroni con i deficit neurologici delle
fasi avanzate e delle forme progressive, ma quanto alle cause della sclerosi
multipla sappiamo poco più di allora e, soprattutto, troppo poco in rapporto
alla responsabilità che ricercatori e medici sentono di fronte ad una
sofferenza che in un numero crescente di persone chiede di essere alleviata se
non eliminata.
Numerosi
dati suggeriscono l’influenza di fattori ambientali sulla possibilità di sviluppare
la malattia[14]. Studi sui flussi migratori
indicano che il rischio di ammalarsi di sclerosi multipla è maggiore in coloro
che abbiano vissuto in aree ad alta prevalenza della patologia prima della
pubertà. Altre osservazioni riportano dei picchi di incidenza in riferimento ad
un determinato luogo o ad un periodo particolare, suggerendo l’importanza di
una variabile temporale. Simili profili di distribuzione possono far pensare ad
infezioni, a fattori nutrizionali o a tossicità chimica.
L’ipotesi
seguita dalle più numerose e intense indagini sperimentali è stata quella
virale, con studi condotti sui virus di Epstein-Barr, Herpes simplex 1 e 2,
HHV6, Varicella zoster e altri agenti eziologici degli esantemi dell’infanzia.
Gran parte dell’interesse per l’ipotesi virale è derivato dal rischio di
encefalomielite acuta disseminata che segue infezioni virali e dalla prevalenza
di sieropositività a virus come quello di Epstein-Barr nelle persone affette da
sclerosi multipla.
Anche
alcuni risultati di studi volti ad accertare il ruolo di fattori ambientali
hanno contribuito a confermare l’importanza della ricerca sull’eziologia genetica,
nonostante siano sempre mancate evidenze per una ereditarietà mendeliana[15]. La diversa prevalenza fra gruppi
etnici e la già ricordata differenza nella concordanza fra gemelli monozigoti e
gemelli dizigoti hanno costituito fattori determinanti. Più recentemente
l’analisi estesa all’intero genoma del polimorfismo di singoli nucleotidi ha
identificato numerosi loci genici associati ad accresciuto rischio di malattia
nella popolazione generale[16]. Molti polimorfismi mappano geni o
loci genici associati con la regolazione immunitaria. Una forte associazione
rilevata qualche anno fa è quella con l’HLA-DRB1 sul cromosoma 6p21, che sembra
dar conto del 16-60% di suscettibilità genetica allo sviluppo della malattia.
Il prosieguo della ricerca sta identificando un numero sempre crescente di loci
genici verosimilmente legati alla possibilità di sviluppare un disturbo
neurologico clinicamente rilevante, pertanto l’opinione più seguita fra i
genetisti è che, se si dimostrerà che la sclerosi multipla è in senso stretto
una malattia genetica, sarà definita come un disturbo complesso nel quale molti
geni polimorfici interagenti hanno una bassa penetranza ed esercitano un
piccolo effetto sul rischio patologico complessivo[17]”[18].
Torniamo allo studio di Saadh e colleghi qui recensito.
Recenti indagini sul microbioma intestinale e sugli stili dietetici,
quali fattori ambientali implicati nell’eziopatogenesi della sclerosi multipla,
hanno evidenziato la potenziale influenza di piccole molecole ubique
provenienti dal microbiota: gli acidi grassi a catena corta (SCFA). Tali
prodotti dei microrganismi che ospitiamo nel nostro intestino possono essere
impiegati come segnali molecolari di vitale importanza o quali sostanze
metaboliche che regolano il metabolismo cellulare dell’ospite in quella ricca e
intricata interazione che si realizza tra organismo ospitante e flora
intestinale. Attualmente, soprattutto in ambienti clinici, si enfatizza l’importanza
che può avere l’ottimizzazione degli “attributi promuoventi la salute” dei
batteri del colon, attraverso una particolare gestione dell’alimentazione, nel
mitigare i disturbi del tratto urinario. Mohammed
J. Saadh e colleghi, prendendo le mosse da una
revisione della letteratura scientifica recente sull’argomento, hanno
analizzato l’impatto delle molecole di SCFA sulle cellule immunitarie che hanno
un ruolo preminente nella patogenesi delle lesioni della sclerosi multipla.
La
riflessione deduttiva sui dati emergenti dalla sperimentazione ha portato i
ricercatori a riconoscere un ruolo del microbiota, attraverso gli SCFA, nello
sviluppo della patologia infiammatoria-degenerativa a placche della sostanza
bianca del sistema nervoso centrale. Gli autori considerano e discutono anche
la notevole influenza dei probiotici sui problemi gastrointestinali associati
alla sclerosi multipla.
Lo studio non propone definizioni dei meccanismi, se non quelle suggerite
dagli autori delle indagini sperimentali passate in rassegna; tuttavia, dalla
lettura integrale del testo si evincono numerosi spunti interessanti sia per riflessioni
interpretative, sia per ulteriori ricerche. Mohammed J. Saadh
e colleghi concludono sottolineando che la comprensione del rapporto
intestino-SNC offre nozioni utili per la messa a punto di approcci terapeutici
innovativi nella gestione terapeutica della sclerosi multipla, oltre quelli
basati su supplementi di pro-biotici.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del
sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Roberto Colonna
& Lorenzo L. Borgia
BM&L-20 aprile 2024
________________________________________________________________________________
La Società Nazionale di Neuroscienze
BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata
presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio
2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale
non-profit.
[1] Già negli anni Novanta si
conosceva la concordanza fra gemelli monovulari del 25%, contrapposta al 2-3%
dei biovulari, e associazioni significative con genotipi HLA; tuttavia, la
somiglianza delle lesioni con l’encefalomielite allergica sperimentale è stata
condizionante. Questa encefalite, divenuta poi un modello sperimentale della
malattia, si produce negli animali per reazione autoimmune a materiali mielinici,
in particolare per sensibilizzazione dei linfociti T alla proteina basica della
mielina, e presenta lesioni demielinizzanti perivenulari
a placca, con andamento cronico e recidivante come nell’andamento clinico della
sclerosi multipla umana.
[2]
Fagnani C., et al. Twin studies in
multiple sclerosis: a meta-estimation of heritability and environmentality.
Multiple Sclerosis 21: 1404-1413, 2015.
[3]
Beecham A. H., et al. Analysis of
immune-related loci identifies 48 new susceptibility variants for multiple sclerosis.
Nature
Genetics 45: 1353-1360, 2013. Ma è emerso che le
varianti associate hanno un effetto molto limitato rispetto al rischio
complessivo di malattia e non possono giustificare l’aggregazione di parenti
biologici con sclerosi multipla dedotta dall’analisi delle famiglie.
[4] Note e Notizie 11-06-16
Trovata la prima mutazione che spiega la sclerosi multipla.
[5] Malattia di Marburg e sclerosi
multipla tumefattiva.
[6] Malattia di Schilder e sclerosi
concentrica di Balo.
[7] Per la ratio 2:1, v. Bradl M. & Lassmann H.,
Multiple Sclerosis, in Neuroglia (Kettenmann
& Ransom, eds), p. 785, Oxford University Press, New York (USA), 2013; per
la ratio 3:1, v. Adams and Vicrtor’s Principles of Neurology, Tenth Edition, p. 917,
McGraw Hill, 2014.
[8] D’altra parte la
demielinizzazione si associa a malattie autoimmuni, quali SLE, malattia di Sjogren e sindromi correlate.
[9] La prevalenza media di 1:1000
abitanti in Nord America ed Europa Centro-Settentrionale comprende stime come
quelle di Mayr nel Minnesota di 177 casi per 100.000 (Olmstead
County) e di 30/80 per 100.000 in Nord USA e Europa. Invece, nel meridione di
USA ed Europa, la prevalenza è da 6 a 14 per 100.000. Nelle aree tropicali è
rara con una prevalenza sempre inferiore all’unità per 100.000 abitanti (Cfr. Adams
& Victor’s, p. 917, McGrawHill, 2014).
[10] Spesso diagnosticata fra i 20 e
i 40 anni: si vedano le righe introduttive in Note e Notizie 06-02-16 Nella sclerosi multipla un sorprendente
comportamento delle cellule NK; Cfr. Bradl M. & Lassmann
H., Multiple Sclerosis,
in Neuroglia (Kettenmann
& Ransom, eds), p. 785, Oxford University Press,
New York (USA), 2013.
[11] Cfr. Adams and Vicrtor’s Principles of Neurology, Tenth Edition,
p. 917, McGraw Hill, 2014.
[12]
Compston A., Lassmann H., McDonald I., The history of
multiple sclerosis, pp. 69-112 in McAlpine’s
Multiple Sclerosis 4th ed. Churchill
Livingstone, New York 2006.
[13] Questa iniziativa, a un secolo
di distanza, ispirò Rita Levi-Montalcini per la costituzione dell’AISM.
[14]
Compston A. & Cole A. Multiple Sclerosis. Lancet 372, 1502-1517,
2008. Cfr. Staugaitis S. M. & Trapp B. D.,
Diseases Involving Myelin, pp. 691-704 in Basic
Neurochemistry (Brady, Siegel, Albers, Price), AP, Elsevier, 2012.
[15]
V. nota 10.
[16] Cfr. Australia and New Zealand Multiple Sclerosis Genetics
Consortium (ANZgene), 2009; De Jager et al. Nature 41, 776-782, 2009.
[17] Staugaitis S. M.
& Trapp B. D., op. cit., p. 696.
[18] Note e Notizie 11-06-16
Trovata la prima mutazione che spiega la sclerosi multipla.